PAUSA SIGARETTA

 

Il filtro appoggiato alle labbra si inumidisce di saliva; a volte la lingua ci gioca, altre volte il filtro si incolla alle labbra

e i denti lo mordicchiano lievemente per staccarlo; una volta ho ingoiato un filtro per sbaglio, come si ingoia un dente da latte.

Sfilare la cartina, la busta del tabacco come il sacchetto della tombola in cui infilare la mano, sentire la presa sulle fibre

e le dita che allargano una compattezza umida, setacciando la quantità necessaria.

Non ci azzecco mai. A sigaretta chiusa il tabacco spunta come un ciuffo di peli ribelli, oppure rimane uno spazio vuoto

che all’accensione si incenerisce, mi ricorda le carte delle arance a Natale, le arrotolavo in un cilindro

e gli davo fuoco per farle volare come minuscole mongolfiere, e sul piatto rimaneva un alone di carta bruciata, calda, umida, viscosa.

Un’acre trinàcria. La cartina aperta, il tabacco spolverato sul bianco, come speziando la voglia di una pausa che mi sembra ora di pelle d’oca.

Un ruvido improvviso, un brivido in aria.

Da qualche mese si è allargata la cerchia dei visitatori sul balconcino, un merlo si posa molto spesso sulla balaustra.

Mi piace pensare che sia una femmina, forse perché è minuta. Tutta nera, un carboncino lucido,

il becco che vira in alcuni punti all’arancione. Davvero è una merla, una femmina di merlo?

Rimane lì, bilanciandosi sulle zampette mentre si muove con piccoli scatti. L’ho chiamata Nerina e poi mi sono ricordata che si chiamava così anche la custode della casa che abitavo quando ero piccola

e che si offriva di curarmi quando stavo male e mia madre doveva andare a lavorare.

In effetti, a ben pensarci, uccello e persona si somigliano, anche la custode aveva l’aria di un piccolo uccello.

Le storie che mi raccontava sono rimaste come un vapore nei miei ricordi, come un cinguettio sommesso o il suono delle zampette che sfiorano il ferro del balcone.

Nerina non manca mai all’appuntamento.